Blog di EconomicBites

Fatti economici a piccoli morsi

Primo Maggio, poco da festeggiare per i lavoratori siciliani.

di Giovanni Sortino

Sicilia fanalino di coda in Europa per disoccupazione: donne e giovani i più colpiti.

Torna la Festa del Lavoro ma non per tutti nel Meridione, specialmente nella nostra isola. Secondo le statistiche elaborate da Eurostat sul 2021, la Sicilia segna un tasso di occupazione del 41,1% contro un tasso medio per l’Unione Europea del 68,4%.

Ci troviamo sotto anche alla Campania, alla Calabria e alla Puglia che registrano percentuali di poco superiori alla nostra. Il quadro è ancora più critico per le donne con il 29,1% di occupazione in Sicilia a fronte di una media europea del 63,4%.

Importante il divario con l’occupazione media italiana che si attesta al 58,2% con grandi differenze territoriali di quasi 30 punti percentuali con la provincia di Bolzano e il Nord Ovest che si allineano alla media europea. 

Ritornando alle donne, constatiamo come detto un divario di oltre 30 punti non solo con l’UE ma anche con alcuni territori del Settentrione già menzionati precedentemente.

Altro tasto dolente sono i giovani, sempre più sfiduciati dalla mancanza di opportunità che la nostra terra purtroppo non offre nonostante le grandi potenzialità in ambito turistico ed energetico che non riusciamo a sfruttare.

Tornando alle statistiche, 4 giovani su 10 in età compresa tra i 15 e i 29 anni, in Sicilia, si ritrovano senza un lavoro. Si tratta di una degli indici più alti in Italia che insieme a quelle delle altre regioni del Meridione demarcano un divario sempre più profondo tra Nord e Sud del nostro paese e mai colmato. In fondo alla classifica europea troviamo la regione spagnola di Melilla e le regioni greche della Macedonia orientale. 

Si alternano negli anni i governi sia nazionali che regionali ma le statistiche sull’occupazione restano sempre le stesse. Tra sussidi e bonus, pandemia e guerra sono e saranno i giovani a pagare le conseguenze di un mercato del lavoro piatto e depresso che non li vede veramente coinvolti come sarebbe giusto che sia. Paghiamo problemi su tutti i fronti: dalle infrastrutture che penalizzano fortemente il commercio e i trasporti con collegamenti precari non solo con il resto d’Italia ma anche tra le nostre città metropolitane alla formazione universitaria passando per un settore terziario che non è mai decollato definitivamente in tema di turismo e servizi. Non mancano comunque alcune opportunità per i giovani di restare e lavorare in Sicilia che segnaliamo in questa occasione. Da anni ci sono misure per il sostegno all’occupazione con fondi europei, nazionali o regionali. Tra tutte vi sono la “Garanzia giovani” e “Resto al Sud”. Quest’ultima finanzia le attività produttive e le aziende che presentano progetti a servizio del turismo e del commercio.

Negli ultimi mesi sono stati numerosi i concorsi pubblici banditi dalle nostre amministrazioni tra cui anche la Regione Sicilia. Un’altra occasione importante per poter accedere al mondo del lavoro e magari dare un senso, un giorno, a questa giornata che in Sicilia ad oggi è solo una effimera ricorrenza. 

Concorso per giovani al Sud. Occasione per rinnovare la Pubblica Amministrazione

Si svolgerà tra il 9 e l’11 giugno il concorso per l’assunzione rapida di 2.800 profili tecnici qualificati nelle amministrazioni delle regioni meridionali.

La selezione prevede una sola prova scritta digitale – secondo le modalità semplificate “fast track”, per 8.582 candidati, selezionati tra gli 81.150 che hanno presentato domanda sulla base dei titoli e delle esperienze lavorative pregresse.

Due le sessioni nelle cinque sedi decentrate individuate in Calabria, Campania, Lazio, Puglia e Sicilia. Lo annuncia un comunicato della Funzione pubblica che punta a concludere tutto l’iter in 100 giorni con la pubblicazione delle graduatorie finali.

IL CONCORSO

La procedura di selezione ‘fast track’ prevede quattro step: selezione automatica sulla base dei titoli attraverso la piattaforma “Step One 2019”; unica prova scritta diversa per ciascun profilo, con test a risposta multipla da svolgersi a giugno in apposite sedi decentrate (in modo da limitare al massimo gli spostamenti interregionali) in modalità digitale (pc/tablet). Ai candidati potranno essere somministrati 40 quesiti a cui rispondere in 60 minuti. Il punteggio massimo sarà di 30 punti, il minimo di 21/30. Lo svolgimento della prova, viene ancora spiegato, avverrà nel pieno rispetto della trasparenza della procedura e del principio dell’anonimato. Il sistema attribuirà i risultati (in forma anonima) dei questionari ai nominativi dei candidati; pubblicazione delle graduatorie; assunzione.

I PROFILI RICHIESTI

Sono cinque i profili richiesti: tecnici ingegneristici, esperti in gestione, rendicontazione e controllo, progettisti, animatori territoriali, esperti di innovazione sociale, amministrativi giuridici, process data analyst.
I 2.800 tecnici qualificati, che saranno assunti con contratti della durata massima di 36 mesi, avranno il compito di irrobustire la capacità amministrativa in diversi enti di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, con particolare riguardo alla gestione dei progetti europei.

LA GRADUATORIA

La graduatoria finale dovrebbe arrivare, dall’avvio del bando, tra il 30 giugno e il 9 luglio.È la prima volta, si legge in una nota del ministero per la Pubblica Amministrazione, che un concorso pubblico si svolge secondo la modalità semplificata “fast track”, che permetterà di concludere in 100 giorni tutte le procedure, dalla pubblicazione del bando in Gazzetta Ufficiale alle graduatorie finali.
Le cinque commissioni esaminatrici per ognuno dei profili messi a concorso sono state nominate il 3 maggio scorso. Il relativo decreto del Capo Dipartimento della Funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri è consultabile on line sul sito del ministero. In questi giorni, prosegue il comunicato, è in corso il controllo dei titoli di studio e dell’esperienza professionale dichiarati dagli 8.582 candidati, di cui 182 ex aequo, per formare l’elenco definitivo da ammettere alla prova scritta.

Secondo il cronoprogramma – fin qui puntualmente rispettato – la pubblicazione delle graduatorie definitive per le assunzioni è prevista dal 30 giugno al 9 luglio.
Sono stati 81.150 – di cui oltre la metà donne (il 55,2%) – i candidati che hanno inviato la propria domanda di partecipazione anche per più profili entro i termini del bando, per un totale complessivo di 99.357 candidature. L’età media è di 35,4 anni e quasi il 30% ha meno di 30 anni. Dalla Sicilia (20.381) e dalla Campania (18.361) è arrivato il più alto numero di candidature.

Le parole del Ministro Brunetta

“Io voglio riportare i giovani al centro: non come vittime delle distorsioni, dei concorsi ottocenteschi con carta e penna, delle selezioni con centinaia di migliaia di partecipanti che possono durare fino a quattro anni, dei quiz come per la patente auto. Ma come protagonisti di una Pubblica amministrazione che ha disperato bisogno di essere rinnovata e qualificata per diventare catalizzatore della ripresa. Per questa ragione, devo spiegazioni a chi è spaventato e anche ai tanti – professori universitari, esperti, studiosi, ex presidenti di enti pubblici – che paiono difendere l’attuale apparato concorsuale come l’unico infallibile sistema per reclutare giovani talenti nella Pubblica Amministrazione. A chi sembra sostenere che titoli universitari, dottorati e master non devono contare nulla per la Pubblica Amministrazione di cui tanto lamentiamo lentezza e inefficienza, perché anzi sarebbero “discriminatori”, quasi un colpo di fucile alla meritocrazia.

Il nostro obiettivo è di garantire innanzitutto il turn over fisiologico: almeno 500mila ingressi per 5 anni, 100 mila l’anno, pari al numero di dipendenti pubblici che andranno in pensione secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato. Poi bisogna ragionare selettivamente sui settori che si sono maggiormente impoveriti negli ultimi 10 anni”.

Il ministro ha spiegato che si guarderà “soprattutto alla sanità e agli enti locali. Qui il turnover potrà arrivare anche al 120%. Infine, ci saranno le alte professionalità tecniche da reclutare in via straordinaria per l’attuazione dei progetti del Recovery Plan con contratti a tempo determinato”.

Il Bando

I profili lavorativi richiesti

  • ingegneria (1412 posti): esperti tecnici (Codice FT/COE) con competenza in materia di supporto e progettazione tecnica, esecuzione di opere e interventi pubblici e gestione dei procedimenti;
  • gestione rendicontazione e controllo (918 posti): esperti in gestione, rendicontazione e controllo  (Codice  FG/COE)  con  competenza in materia di supporto alla programmazione e pianificazione degli  interventi,  nonché alla gestione, al monitoraggio e al controllo degli stessi ivi compreso il  supporto ai processi di rendicontazione;
  • innovazione sociale (177 posti) : esperti  in progettazione e  animazione territoriale (Codice FP/COE) con competenza  in  ambito  di  supporto alla progettazione e gestione di percorsi di animazione e innovazione sociale fondati sulla raccolta dei fabbisogni  del  territorio  e  la  definizione e attuazione di progetti/servizi per la cittadinanza;
  • amministrazione e area giuridica (169 posti): esperti amministrativo giuridici (Codice FA/COE) con competenza in ambito di supporto   alla  stesura  ed   espletamento  delle procedure di gara ovvero degli avvisi   pubblici  nonche’  della  successiva  fase  di   stipula,  esecuzione,   attuazione,    gestione,  verifica e controllo degli accordi negoziali;
  • process data analyst (124 posti): esperti analisti informatici (Codice FI/COE) con  competenza in materia di analisi dei sistemi esistenti e  definizione di elementi di progettazione di dati logici per i  sistemi  richiesti  dai   fabbisogni   di   digitalizzazione  delle  amministrazioni.Identificazione e progettazione di chiavi per i dati e definizione di  cataloghi di dati. Definizione e realizzazione  delle  condizioni  di interoperabilita’ per l’acquisizione e scambio  di  dati.

Requisiti tecnici per partecipare

Per partecipare al concorso per l’assunzione di 2800 tecnici e laureati nella pubblica amministrazione del Sud Italia, bisognava possedere dei requisiti precisi:

  • cittadinanza italiana o dei paesi UE o possesso di permesso di soggiorno di lugno periodo o status di rifugiato;
  • maggiore età;
  • godimento dei diritti politici;
  • non avere riportato condanne penali;
  • un diploma di laurea (anche triennale). Verranno calcolati dei punteggi aggiuntivi in base alla votazione ottenuta, agli eventuali titoli di studio conseguiti dopo la laurea triennale (laurea magistrale, master, dottorato di ricerca, diploma di specializzazione) e alle esperienze professionali.
    La residenza in una delle regioni coinvolte non è un requisito necessario.

Dove verranno fatte le assunzioni

  • Le assunzioni saranno fatte nella pubblica amministrazione delle regioni Abruzzo (243 posti), Basilicata (119), Calabria (365), Campania (642), Molise (78), Puglia (481), Sardegna (218) e Sicilia (497). Più precisamente i posti di lavoro saranno così distribuiti:
    • 107 nelle Amministrazioni delle Regioni coinvolte;
    • 76 nelle Province;
    • 35  nelle 7 Città metropolitane;
    • 364 nei Comuni capoluogo;
    • 160 nei Comuni delle aree interne;
    • 155 nei Comuni con più di 50mila abitanti;
    • 146 nei Comuni medi;
    • 943 nei Comuni più piccoli;
    • 757 nelle Aggregazioni di Comuni;
    • 57 presso altri enti.

E voi, vi siete iscritti al concorso? Credete in questo cambio di passo della Pubblica Amministrazione in tema di concorsi?


Fonti (Fan Page, Giornale di Sicilia, Quotidiano di Sicilia)

La rigidità del patto di stabilità

Il patto di stabilità è l’accordo con cui i Paesi europei hanno concordato una politica di controllo dei bilanci interni basata sul deficit pubblico e sul Pil.

Si tratta di uno dei pilastri su cui si regge l’Ue e serve ad armonizzare le politiche di bilancio pubblico perseguite dai Paesi membri. Serve a garantire la stabilità economica interna e si basa su due parametri fondamentali: il deficit dei singoli Stati contraenti e il rapporto debito pubblico e Pil. Chi non rispetta i vincoli concordati rischia una pesante procedura d’infrazione che si traduce dapprima in una raccomandazione e poi in una sanzione vera e propria.

Nel dettaglio, il patto di stabilità consiste nel rispetto delle seguenti soglie:

  • il rapporto deficit e Pil non deve superare il 3%
  • il rapporto debito pubblico e Pil non deve superare il 60%

Stando alle parole della Commissione Europea i parametri previsti nel patto di stabilità “mirano a evitare che le politiche di bilancio vadano in direzioni potenzialmente problematiche” e a “correggere disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi”.

La procedura d’infrazione

Gli Stati membri che non soddisfano i parametri previsti dal patto di stabilità (rapporto deficit/Pil < 3% e rapporto debito/Pil < 60%) possono subire la procedura d’infrazione prevista all’articolo 104 del Trattato che consta in tre fasi:

  • avvertimento;
  • raccomandazione;
  • sanzione.

Qualora il disavanzo di un Paese membro si avvicinasse al tetto del 3% del Pil, la Commissione europea propone – su approvazione del Consiglio dei ministri europei in sede di Ecofin – l’avvertimento preventivo (early warning) al quale segue una raccomandazione vera e propria se tale soglia viene superata.

Se, nonostante la raccomandazione, il Paese in questione non adotta misure correttive idonee a modificare la propria politica di bilancio, può essere sottoposto ad una sanzione che prende la forma di un deposito infruttifero; questo può essere convertito in una ammenda trascorsi 2 anni di persistenza del deficit eccessivo.

La sanzione ha una componente fissa (pari allo 0,2% del Pil) e una variabile (pari ad 1/10 dello scostamento del disavanzo pubblico dalla soglia del 3%) il cui importo complessivo non può comunque superare il tetto massimo dello 0,5% del Pil.

Al contrario, se lo Stato membro adotta tempestivamente le misure correttive, la procedura d’infrazione è sospesa fino a quando il deficit non viene portato sotto il limite del 3%.

Tuttavia, in considerazione del particolare momento che l’Ue sta vivendo a causa del Covid-19, la Commissione Europea ha deciso di sospendere il patto di stabilità. Una saggia decisione che si sta prolungando anche nel 2021 e sicuramente nel 2022.

Voi pensate sia un parametro equo da applicare? E’ un po’ troppo stringente?

Amato e il prelievo forzoso sui conti correnti degli Italiani. Ci risiamo?

Sono ormai passati quasi 30 anni da quella svalutazione della lira italiana, esacerbata da George Soros, che mise in ginocchio le finanze del nostro Paese. Pochi mesi prima, la patrimoniale del 6 per mille sui conti correnti degli italiani aveva già sconvolto profondamente gli Italiani.

Era il 1992 quando il governo di Giuliano Amato, al potere solo da pochi mesi, prese una decisione senza precedente: applicare una patrimoniale, il famoso 6 per mille sui capitali che, in realtà, erano già al netto delle imposte. Quelle tasse erano già state pagate, ma il crollo della lira italiana non lasciò altra scelta, come ricorda lo stesso Amato in un’intervista al Corriere in occasione del venticinquesimo anniversario dell’evento.

Il passato, però, sembra ritornare alla cara e vecchia Italia: lo spettro di una nuova patrimoniale sui conti correnti, infatti, aleggia ancora.
Era la sera 13 settembre del 1992: alla televisione un preoccupato Giuliano Amato parlava della presenza di tensioni e della necessità di un riallineamento. Il giorno dopo la lira italiana aveva già perso il 7% del suo valore contro il marco tedesco, la valuta di riferimento per le monete europee prima dell’avvento dell’Euro. Quel giorno si rivelò essere l’inizio del periodo di sospensione della lira dal Sistema monetario europeo (Sme). Una crisi del debito paragonabile solamente a quanto successo nel 2011.

La situazione

Servivano gli ultimi 8 mila miliardi di lire per la manovra correttiva da 30, Amato e i tecnici del Tesoro e delle Finanze non videro altra soluzione.
E già: l’aumento dell’IVA era fuori discussione per il rischio di aumento dell’inflazione; aumentare l’Irpef avrebbe colpito soprattutto la fascia più debole dei cittadini. 
Ma l’idea di tagliare i costi della Pubblica Amministrazione, durante quella notte di confronto non venne in mente a nessuno. Però alle 4 del mattino, come ricorda Amato, l’allora ministro delle Finanze Giovanni Goria propose l’idea del prelievo forzoso. L’indomani, al Consiglio dei Ministri, il decreto passò.

Il contesto

Nei primi anni ‘90 l’economia italiana era frenata dai tassi di interesse molto alti e da un cambio valutario forte, fattori che ostacolavano l’accesso al credito alle imprese, incidendo sulla loro competitività a livello internazionale. Nell’anno del fattaccio Carlo Azeglio Ciampi era governatore della Banca d’Italia, Piero Barucci ministro del Tesoro, Mario Draghi direttore del Tesoro, come ricorda Amato.
La svalutazione poteva sembrare la via più facile da seguire ma l’Italia aveva già un debito pubblico enorme e dire addio alla lira forte avrebbe potuto creare non pochi problemi alle finanze pubbliche.

Arriviamo ai giorni nostri

Come nel 2011, anche ora alleggia lo spettro della patrimoniale vista la crescente esposizione dell’Italia nei confronti degli investitori internazionali. Si parla di un prelievo “una tantum” sui conti correnti o una patrimoniale sulla prima casa come fece Monti nel suo primo anno di governo.

E’ giusto introdurre una patrimoniale per far fronte alle tante spese che la pandemia ci sta costando? Sareste d’accordo ad applicarla soltanto a chi possiede grandi patrimoni mobiliari e immobiliari?

Fonte (money.it)

Pensioni, addio a Quota 100. Un rebus

Un vero e proprio rebus la questione “Quota 100” che rischia di provocare ulteriori fibrillazioni ad un governo già seriamente spaccato per le riaperture e il coprifuoco.

Quota 100, il Pnrr e la scadenza a fine 2021

Nel Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) non si parla più di Quota 100. Nel testo finale (337 pagine) la Lega è riuscita a far togliere il riferimento, che c’era nella versione precedente, al fatto che Quota 100, come prevede la legge, terminerà alla fine di quest’anno e non sarà prorogata. Nonostante ciò, la stessa Lega sa che la “sua” riforma introdotta sperimentalmente dal governo Conte 1 per ottenere la pensione a 62 anni (con 38 di contributi) non potrà essere meccanicamente riproposta: costa troppo e non è quello che serve. Privilegia infatti il segmento più forte dei lavoratori: dipendenti maschi con una lunga carriera. Tanto è vero che sono poche le donne che hanno utilizzato Quota 100.

Salvini rilancia

Intanto, il leader della Lega, Matteo Salvini , ha rilanciato su Quota 100, chiedendo il rinnovo per il 2022. Egli sostiene che la proroga della misura per lasciare il lavoro in anticipo non richiede spese aggiuntive. Ha affermato che non aumentare le tasse è fondamentale e che “il Carroccio” è entrato al governo per questo. Rinnovare quota 100 per il 2022 sarebbe a costo zero, alzare l’età pensionabile sarebbe una scelta ideologica, aumentare le tasse e l’età per andare in pensione è fuori discussione».

La proposta dei sindacati: uscita flessibile a 62 anni

E domenica 25 aprile il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha rilanciato le proposte della piattaforma Cgil, Cisl e Uil. In particolare l’introduzione di un’età di uscita flessibile a 62 anni: «Abbiamo chiesto a Draghi e al ministro del Lavoro Orlando di attivare un tavolo». Un’apertura importante alle posizioni sindacali è arrivata dall’ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero: «L’uscita flessibile proposta da Landini è un’ottima cosa, ma bisogna vedere chi paga».

Qual è la vostra opinione su quota 100? Ci sono categorie di lavoratori più privilegiate rispetto ad altre che beneficiano di questa misura? Dì la tua!

Fonte (Corriere della Sera-Economia)

Mario Draghi: un “whatever it takes” non ancora pervenuto

Mario Draghi e il ”cambiamento lento”. Il supereroe sembra aver perso i poteri magici degli anni d’oro e l’Italia si illude, maledettamente, di una ripresa che non c’è e forse non ci sarà.

Mario Draghi si pronunciò così nel 2012 per fermare le forti speculazione sull’Euro

Il Personaggio in breve

Mario Draghi, ex presidente della Banca d’Italia prima e della ECB dopo, oggi si trova sicuramente a giocare la partita più difficile della sua vita ovvero quella di guidare fuori l’Italia dalla stagnazione in cui è finita da oramai troppo tempo. E volutamente non è stato scritto “condurci fuori dal Covid” perchè per quello si aveva già Conte, giudicato dall’opinione pubblica più che sufficiente nel suo operato in contrasto alla pandemia.

A metà febbraio nacque il governo Draghi sotto i migliori auspici con i riflettori sia nazionali che internazionali che benedivano “l’ascesa” a Roma di Super Mario, ex numero uno della Banca Centrale Europea. Ma dopo tre mesi il nostro Paese si trova in una situazione di stallo dove non si intravede il cambio di passo promesso e auspicato da tutti.

Normale amministrazione

Ma neanche tanta. La stessa “normale amministrazione” che si è vista con Conte la si sta rivedendo in Draghi. Ristori insufficienti che non coprono neanche il 10% di fatturato che le attività hanno perso l’anno scorso. Una data definitiva sulle riaperture non è stata ancora programmata causando disagi al mondo turistico-alberghiero che rischia di scivolarsi via anche la stagione estiva alle porte. Una comunicazione assente, forse troppo assente, in netta contrapposizione al suo predecessore che aveva abituato bene (fandonie anzi LOL) il pubblico con la regia di Casalino caratterizzata da estenuanti dirette a perdifiato.

Un cambiamento lento

Ma Super Mario non era stato scelto per fare DPCM che come è stato scritto poco sopra non gli riescono neanche troppo bene. La scelta del Presidente Mattarella, su input malcelati di Renzi, ricaduta sul Prof. Draghi, era stata pensata per dare una svolta nuova all’Italia sotto tutti i punti di vista. E invece, purtroppo, nessuno sa nulla del “Recovery Plan”, delle infrastrutture da creare (come lo sterile dibattito sul Ponte di Messina) o da ristrutturare. Poco o niente riguardo alla digitalizzazione della pubblica amministrazione con i concorsi bloccati e un età media dei dipendenti tra le più alte d’Europa. Per non parlare del caos dei vaccini: bloccati, sbloccati, per gli under 60 poi over 60, con cinquecentomila somministrazione al giorno no trecentocinquantamila. Scuole aperte, scuole chiuse e due milioni di vaccinati che non dovevano ricevere alcuna somministrazione.

E’ questo il Paese immaginato legittimamente da Mattarella desideroso di un cambio di passo? Hai fiducia in Draghi o pensi che stia deludendo le attese?

Chiara Ferragni entra nel cda di Tod’s: boom del titolo in borsa

Chiara Ferragni è la influencer italiana più famosa nel mondo, moglie del cantautore Fedez e attiva nel sociale come leader dei diritti femminili. Recentemente in questi giorni è entrata nel gruppo Tod’s, impresa del mondo della moda sotto la guida esperta del noto imprenditore Diego della Valle.

Non sono nuovi i rapporti tra i due in quanto avevano già fatto diverse operazioni commerciali insieme e alcune campagne pubblicitarie.

Proprio le ultime mosse della Ferragni di questi mesi durante la situazione pandemica hanno spinto il Della Valle a far entrare la Ferragni nel cda. Gli obiettivi dell’azienda, con il suo ingresso, sono tanti. Dall’impegno sociale, alla solidarietà verso il prossimo arrivando alla sostenibilità e rispetto dell’ambiente coniugato al conseguente dialogo con le nuove generazioni.

Temi tutti cari ai new age e di moda tanto che si ha quasi la nausea nel troppo abuso di questi termini senza una seria e decisa programmazione da parte delle autorità competenti.

L’effetto in Borsa

A seguito della notizia, le azioni del gruppo Tod’s sono scattate a Piazza Affari con circa il 14% di rialzo. Una capitalizzazione di quasi 100 milioni di euro in poche ore.

Da influencer a opinion leader

Come abbiamo scritto precedentemente, Chiara Ferragni si batte per i diritti delle donne in ambito lavorativo e nella quotidianità di tutti i giorni ma non solo. Ha raccolto svariati milioni di euro per costruire un ospedale in Rho Fiera per far fronte all’emergenza pandemica in Lombardia dovuta alla carenza di terapie intensive. Ultimamente non è passata inosservata la battaglia a favore delle vaccinazioni degli anziani in Lombardia in notevole ritardi nelle prime settimane di vaccinazioni.

Interventi che stanno portando la Ferragni alla ribalta nazionale. Cosa pensate voi dell’attività della Ferragni? Tutta una questione di like e follower o c’è dell’altro?

7 miliardi l’anno: il costo per le baby pensioni

Il dato è in calo rispetto ai 7,5 miliardi del 2018 ma è ancora elevato: è circa lo stesso importo annuale del Reddito di Cittadinanza, o 2 miliardi più di quota 100. Ma cosa sono le baby pensioni?⠀

Il termine indica lavoratori andati in pensione dal 1973 con la normativa introdotta dal governo Rumor, particolarmente generosa soprattutto per il settore pubblico.

Si prevedeva che gli uomini potessero andare in pensione dopo 19 anni, 6 mesi, 1 giorno di contributi, mentre le donne con figli dopo 14 anni, 6 mesi, 1 giorno. Il calcolo era retributivo e l’assegno pari al 2% dell’ultimo stipendio (quindi il più alto) moltiplicato per gli anni di contributi.⠀

Entriamo nel dettaglio


Nello studio Cgia riportato si considera “baby pensione” solo chi ha lasciato il lavoro prima del 1980, anche se le misure del 1973 rimasero in vigore fino alle riforme Amato (1992) e Dini (1995). Secondo la Cgia sono 562 mila le baby pensioni che, ritiratesi dal lavoro ad un’età media di 41 anni e 20 di contributi, percepiscono la pensione da oltre 40 anni.⠀
Tra queste, 446 mila sono donne e 116 mila uomini, a causa della diversa aspettativa di vita.

Inoltre, 386 mila sono ex dipendenti delle grandi imprese o invalidi, beneficiari rispettivamente di trattamenti ancor più favorevoli rispetto ai 20 anni previsti dalla legge e di requisiti di invalidità molto elastici. Gli ex dipendenti pubblici sono 60 mila mentre gli ex autonomi sono 104 mila, molti dei quali agricoltori.⠀

Oggi l’età media di pensionamento in Italia rimane tra le più basse nei paesi avanzati: 62 anni contro i 64 OCSE.

Saranno necessarie ulteriori riforme? Saranno le nuove generazioni a pagare per queste disparità sociali? In un paese dove si chiede ai lavoratori e agli imprenditori di fare enormi sacrifici, ci sono ancora categorie eccessivamente tutelate?

Fonte (Pillole di Economia)

Dai sostegni alla cassa integrazione : il debito pubblico cresce senza sosta.

Cos’è il debito pubblico

Il debito pubblico è il debito contratto da uno Stato, nel nostro caso l’Italia per far fronte al proprio fabbisogno. Spiegato in maniera semplicistica significa finanziare la spesa corrente del nostro Paese. I titolari del debito pubblico, ossia i creditori dello Stato in questione, sono tutti quei soggetti che hanno finanziato lo Stato in qualche maniera attraverso l’emissioni da parte di quest’ultimo di obbligazioni a medio lungo temine (BTP) o a breve scadenza (BOT).

Secondo gli ultimi dati mensili diffusi dalla Banca d’Italia, a gennaio il debito è arrivato a 2.603,1 miliardi di euro, in aumento di 33,9 miliardi di euro rispetto a dicembre 2020. Il rapporto debito/Prodotto interno lordo nell’anno della pandemia è esploso fino ad arrivare al 155,6% rispetto al 134,6% dell’anno precedente.

Per comprendere meglio la portata del nostro debito pubblico è sicuramente più importante guardare a questo rapporto piuttosto che al solo dato sul debito. L’incremento al 155,6% dello scorso anno è frutto dell’aumento della spesa pubblica causato dall’emergenza, per esempio per finanziare la cassa integrazione, i ristori e le spese sanitarie. Il debito pubblico è arrivato a 2.569 miliardi di euro a dicembre 2020 e, contestualmente, il Prodotto interno lordo è diminuito a causa della pandemia a 1.651 miliardi di euro (dati Istat) con un calo dell’8,9%. Attualmente, l’unico Pese europeo con un rapporto debito/Pil peggiore del nostro è la Grecia, ormai vicina al 200%.

Capiamo meglio come è cresciuto il debito durante la pandemia

Le spese finanziate a causa del Covid per sostenere l’economia nazionale nel 2020 e 2021 porteranno a un rapporto debito/Pil oltre il 160%. Ma se le spese sanitarie sono state oggetto di polemica e dibattiti tesi fino a poche settimane fa tra il partito di Renzi, Italia Viva, e il M5S per l’utilizzo o meno del nuovo MES sanitario, le altre due misure principali citate prima fanno sicuramente discutere.

Parliamo dei ristori riconvertiti, solo lessicalmente, dal nuovo governo Draghi in sostegni e della cassa integrazione ai lavoratori delle attività più colpite dalla pandemia. Da un lato sono sacrosanti dall’altro ne discutiamo l’efficacia. Sono stati veramente da sostegno agli imprenditori che hanno tenuto chiuso per quasi tutto il 2020 la propria attività? Hanno aiutato i tanti lavoratori che lavorano nel mondo della ristorazione, dello spettacolo, del turismo? Chi vi scrive crede proprio di no!

Ascoltiamo quotidianamente nei talk show politici proteste da qualsiasi categoria sociale. Dai lavoratori che non ricevono puntualmente la cassa integrazione agli imprenditori che lamentano di contributi a fondo perduto dell’ordine di sparute migliaia di euro che non risolvono niente. D’altro canto la tanta decantata “potenza di fuoco” invocata dall’ex premier Conte non possiamo permettercela come fanno altri paesi come la Germania. Proprio per colpa di un debito pubblico che negli anni è diventato una spada di Damocle, una minaccia di cui si avverte costantemente la presenza.

E voi, cosa ne pensate? I ristori hanno aiutato a sostenere la propria attività o sono stati largamente insufficiente?

Il Cashback: che cos’è e perchè è in bilico

Tradotto alla lettere, Cashback vuol dire “soldi indietro”. Di fatto si guadagna facendo acquisti, visto che i negozi (fisici o virtuali) restituiscono ai clienti una parte del denaro speso nello shopping.

Una moda spopolata negli Stati Uniti, terra di sperimentazione nella fidelizzazione dei clienti, e che sta velocemente prendendo piede in Italia. A fianco delle solite carte fedeltà, nascono programmi di cashback che tendono a premiare i clienti in maniera differente rispetto a una raccolta punti.

Dal 1° gennaio 2021 è entrato in vigore questo sistema che prevede il rimborso del 10% delle spese effettuate con sistemi di pagamento elettronico. Il rimborso avviene ogni 6 mesi e sarà di massimo 1.500€ a semestre. Per ottenerlo però bisogna fare almeno 50 pagamenti, ognuno di massimo 150€, a semestre. Per accedere al cashback bisogna essere maggiorenni residenti in Italia e registrarsi all’ app IO, la piattaforma della Pubblica Amministrazione, con il proprio SPID o con la carta d’identità elettronica.

A dire il vero si era già partiti con la versione sperimentale dell’iniziativa, il Cashback di Natale. L’iniziativa nasce per disincentivare l’uso del contante combattendo la cosiddetta “economia sommersa”, problema atavico del nostro paese.

Trattandosi di un’iniziativa in corso, i dati per il momento sono in divenire e solo il tempo potrà dire se abbia sortito gli effetti sperati. Ad oggi ci sono circa 8 milioni di cittadini aderenti al programma e 300 milioni di transazioni elaborate.

Sarà riconfermato?

Vi sono diverse ipotesi al tavolo tra le quali quella di non riconfermare l’iniziativa per il primo semestre del 2022. Non solo la maggioranza dell’attuale governo Draghi ma anche Fratelli d’Italia spinge per destinare le risorse (3 miliardi di euro) per l’emergenza Covid tra povertà e sostegni alle imprese. Di sicuro il Cashback non terminerà improvvisamente, perchè la macchina si è messa in moto e milioni di italiani hanno orami un diritto acquisito da rivendicare. Ma dall’altro lato da più parti già si chiede di rivedere e restringere la platea dei rimborsi alle sole attività che sono più incline al “nero”.

Vi chiediamo allora se per voi si tratta di denaro pubblico sprecato oppure il cashback può incidere positivamente sui comportamenti degli italiani.

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